De la nuda umanitate.
Cose nuove per la vecchia lirica italiana. E la elocuzione poetica insorge anch'essa, nella prima delle due strofe, fiera, vigorosa, a tócchi e sbòzzi; e nella seconda la verseggiatura, con quegli sdruccioli nelle cesure e con quelle vocali gravi nelle ultime sedi, par che sbuffi il vento e il bombo dell'ironia plebea verso le nebulose cime delle grandezze sociali. E forse che dalle pareti della sala pendeva, in asburghese solennità carnaloccia, il cesareo regio ritratto di Sua Sacra Maestà Apostolica, la imperatrice e regina di non so quanti paesi e madre di Maria Antonietta. La filosofia, come dicevasi allora, faceva capolino nei metri dell'Arcadia e nell'Accademia dei Trasformati; e i Trasformati, marchesi, canonici, consiglieri aulici e conti, battevano le mani, e non vedevano quali figure seguissero caliginose per l'aria la salutata apparizione.
L'abate intanto, preso l'abbrivio, procede di bene in meglio: dimentico che forse la mattina stessa si è consumato fra le sue dita dinanzi all'altare dell'Uomo-Dio il mistero della transustanziazione (Limosina di mésse Dio sa quando Ne toccherò), procede e passa all'impostura religiosa; alla impostura, cioè, di altre religioni che non sia la cristiana:
Già con Numa in sul Tarpeo
Désti al Tebro i riti santi,
Onde l'augure poteoCo' suoi voli e co' suoi canti
Soggiogar le altere mentiDomatrici delle genti.
Del macedone a te piacqueFare un dio, dinanzi a cui
Paventando l'orbe tacque.
A confronto di questi ultimi tre versi il prof.
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