D'Ancona, nella illustrazione che opportunamente ha fatto delle odi pariniane a uso delle scuole77, cita quelli del Guidi nella canzone La Fortuna:
Allor dinanzi a lui tacque la terra;
E fe' l'alto monarcaFede agli uomini allor d'esser celeste,
E con eccelse ed ammirabil proveS'aggiunse ai numi e si fe' gloria a Giove:
dei quali, per due belli, tre sono superflui, inutili, vescicosi. Da tali confronti apparisce la misura del progresso e la qualitą del rinnovamento mosso e operato dal Parini, quando e dove, anche nella elocuzione, anzi specialmente nella elocuzione, fece bene da vero.
La strofe séguita con tre versi brutti, proprio brutti:
E nell'Asia i doni tuiFūr che l'arabo profeta
Sollevaro a sķ gran meta.
Prima di tutto: Maometto č un di piś: bastavano Numa e Alessandro: la lirica non si fa mica per enumerazioni. Poi, la elocuzione casca trivialmente scorretta: i doni tui fūr che č costrutto francese: a una mčta si arriva di per sé, si scorge si guida si conduce altrui, non si solleva.
Le due strofe, che seguitando incontriamo [37-48], sono come il passaggio dalla prima parte alla seconda, dal generale al particolare. Nei passaggi il Parini č per lo piś poco cigno e manco aquila: fa un saltetto, e stramazza: o pure per la lunga risale la corrente finché trovi il ponte.
Qui aveva cominciato bene:
Ave, dea. Tu come il soleGiri e scaldi l'universo.
Due bellissimi versi, ampi di giro e di suono, pari alla contenenza; ma che sono anche un bellissimo schiaffo alla storia della civiltą e alle credenze, delle quali il genere umano č solidale, nelle idealitą o nelle idealizzazioni della societą. Al che pensi un po' chi ci ha da pensare.
| |
Ancona Guidi La Fortuna Giove Parini Asia Maometto Numa Alessandro Parini
|