Cosķ sotto il favore di Giunone Domiduca va la processione nuziale alla casa del marito. E i fanciulli e le fanciulle e i clienti invocano Talassio e Imeneo, e al suono delle doppie tibie il popolo e i servi cantano i fescennini.
I lettori sanno che fossero i fescennini: canti, la cui origine e l'uso era, dicesi, dall'etrusca Fescennia, improvvisati, senza piś rispetto al ritmo e al metro che al pudore. Imaginin dunque i motti, le allusioni, le licenze, le facezie sboccate che dovean correre in tali occasioni tra la folla degli scapati, i quali si divertivano all'impaccio della sposa. E pure il fescennino durņ fino agli ultimi tempi dell'impero, nelle nozze dei Cesari cristiani e fin del barbaro patrizio Ricimero. E il poeta della Gerusalemme e quel dell'Adone dedussero nelle loro poesie per nozze di principi cattolici piś dai fescennini di Claudiano e di Ausonio che dai carmi di Catullo. Noi, con tutto il rispetto alla sinceritą romana, che volle serbare non che nelle solennitą dei trionfi ma nelle feste della famiglia i segni dell'antica rozzezza o realitą della vita, passeremo oltre sui fescennini, pur se ricantati da Catullo; e aspetteremo la sposa alla casa maritale su la soglia, che ella non deve toccare co' piedi, ma oltrepassare, sollevata a braccia dai pronubi.
Eccoti la casa ricca e beata dell'uom tuo, che sarą tua sempre...
Sino alla canuta vecchiaia che movendo il tremolo capo par che dica a tutti di sķ...
Porta con buon augurio que' piedini d'oro oltre la soglia ed entra per la nitida porta.
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