E tutte queste letture e versioni e imitazioni, se non potevano per una parte conferire di molto alla pronta e retta educazione del giudizio estetico, dovevano per un'altra promuovere il rapido svolgimento di quel senso d'una vita piú larga e piú mossa in una realtà passionata, che, pur con l'espressione enfatica e asmatica e torbida, distingue subito i poeti e gli scrittori in generale della fine del secolo dagli arcadi e dagli imitatori dei cinquecentisti nel principio o nella metà prima.
Del proprio il Foscolo giovinetto compose molte anacreontiche su l'innanzi del Vittorelli e del Bertòla, tredici odi savioliane - cosí egli - , molte odi oraziane, cioè a mo' di Labindo, e idillii gessneriani a strofette fra rolliane e frugoniane a mo' pur del Bertola; i quali modi tutti erano la moda poetica dell'Arcadia trasmutantesi al filosofismo sentimentale. E con ciò scriveva anche un'ode mosaica e parodie (poveretto!) delle odi pindariche. Ma piú dovea tenersi di certe odi che accennava al Fornasini fin dal 19 agosto '95 e indicava e registrava nell'indice del '96. Non oraziane o fantoniane, non savioliane, non pindariche, non mosaiche; ma del conio dell'autore - cosí egli. - Dovevano andar raccolte in un solo libretto col motto Vitam impendere rero. Dovevano esser dodici, ma tra le finite nel '95 e le composte o da comporsi nel '96 e nel 97 io ne conterei diciassette. Vero è che alcune le avea rifiutate, e di tutte sentenziava nell'indice, «esigono la lima di molti mesi.» Di piú, per quelle già composte nel '95, «L'inquisizione - egli scriveva al Fornasini - si mostra severa; a primo leggerle sembrò sia stata presa da un accesso di febbre.
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