(82) Né altro ne sappiamo. Peccato! Chi sa quale spettacolo di natura e d'arte, di bellezza e di sentimento, dinanzi al sole tramontante o sotto le limpide stelle, su la placida corrente, luccicante tra i pioppi, del fiume d'Italia, eterno nel mito e nella poesia!
II
Nell'isoletta di Belvedere aveva il poeta cercato luogo alla scena [2a dell'atto primo], cosí frescamente civettuola, dell'abbigliamento di Silvia. Ma la scena fissa di tutto il dramma č un luogo di passo non lontan dalla strada pubblica, tra il Po e Ferrara. Grata sorpresa, credo, ai primi spettatori: il dramma dunque stava per isvolgersi nei contorni del paese e del tempo loro, tuttoché ellenico o arcadico l'argomento e gentilesco o pagano il costume. Ché tale presentavasi súbito dal prologo, fatto come nelle tragedie di Euripide e in due commedie di Plauto, da un nume: Amore, che fuggendo Venere e l'Olimpo viene a esercitare le arti sue tra i pastori.
Al qual prologo un dotto bibliografo(83) ha mostrato credere potesse venire la prima idea da' quello della Didone di Lodovico Dolce pubblicata nel 1560,(84) ov'č introdotto Amore in forma d'Ascanio a incominciare cosí:
Io, che dimostro in visoA la statura e a i panni
D'esser picciol fanciulloSí come voi mortale,
Son quel gran dio ch 'l mondo chiama Amore;
Quel che puň in cielo in terraE nel bollente Averno;
Contra di cui non valeForza né uman consiglio.
Né d'ambrosia mi pascoSí come gli altri dči,
Ma di sangue e di pianto.
Ne l'una mano io portoDubbia speme, fallace e breve gioia,
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