«Dal sig. Scipione – rispondeva a' 24 febbraio 1581 – non spero che abbiate nulla: perché, a mostrar quel che si usurpa quel pazzo, si aspetta che io mora. Ma io li dissi nella Minerva che tutto era mio; e senza veder li suoi scritti profetiggiai che 'l suo poema non saria scritto con l'artificio da lui notato: segno che l'arte non era sua».(95) Però Torquato fece bene ad appiedare il mascherone di Mopso a quella pittura in costume della corte estense, viva nel racconto di Tirsi piú che non gli affreschi nella gran sala del castello di Ferrara. Il prof. Solerti nella ancora inedita Vita del Tasso non vuol esser certo che quel Mopso sia lo Speroni, o vuole almeno che la caricatura non figurasse nella prima recita dell'Aminta. Lasci lasci il buon Solerti alla gogna quel noioso Mopso, o prima o poi ch'e' ci fosse legato. Non è permesso oltraggiare impunemente i grandi morti, come lo Speroni avea già fatto con l'Ariosto;(96) e né anche dev'essere impunemente permesso a un vecchione di ottantun anno, ricco, onorato, felice, di calunniare un giovane allo spedale perché aveva piú ingegno di lui.
Però ti sta, ché tu se' ben punito.
Se non che la vendetta del povero Tasso è quasi una glorificazione: in cosí bei versi! Il racconto di Tirsi nella scena piú a dietro citata séguita di questo tenore:
Cosí diss'egli: ed io n'andai con questoFallace antiveder ne la cittade;
E, come volse il ciel benigno, a casoPassai per là dov'è 'l felice albergo.
Quindi uscian fuor voci canore e dolciE di cigni e di ninfe e di sirene,
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