– Io son Bernardo Buontalenti – rispose –, ma non tale nel resto, quale si compiace stimarmi la vostra bontà e cortesia –. Allora quello sconosciuto personaggio con un dolce riso gettògli le braccia al collo strettamente abbracciandolo, baciollo in fronte, e poi disse – Voi sete Bernardo Buontalenti, ed io son Torquato Tasso. Addio, addio, amico, addio –; e senza concedere al riconosciuto architetto, che a quello inaspettato incontro era restato sopraffatto oltremodo, un momento di tempo da poterlo né con parole né con fatti trattenere, se ne montò a cavallo, si partí a buon passo e non mai piú si rivedde. A Bernardo parve un'ora mill'anni d'aver desinato, e súbito se n'andò a dar parte del seguíto al Granduca; il quale in un momento per desio d'onorare quel virtuoso diede tant'ordini, che in brev'ora furono cercati tutti gli alloggi della città e luoghi dove potevasi credere che quel grand'uomo avesse avuta corrispondenza; ma tutto fu in vano.
Se non che i critici recano in dubbio il tempo e la cosa. Tratterebbesi invece della vera commedia, Intrichi d'amore, che già si disse, e non sicuramente poi si negò, composta dal Tasso? Del resto l'incontro col Bontalenti par sentire da vero un poco del pazzericcio.
V
Sette anni dopo la prima recita, già chiuso il poeta in Sant'Anna, l'Aminta fu dato alle stampe da Aldo Mannucci, l'ultimo e minore dei dotti ed eleganti tipografi: il quale mandava dedicandolo (20 decembre 1580) a don Fernando Gonzaga principe di Molfetta con parole tutte ancora impresse dei sentimenti di quei giorni su la sorte del poeta.
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