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      Quella difesa fu ristampata trent'anni dopo(113) con piú osservazioni d'un accademico fiorentino, che in vece era senese, Uberto Benvoglienti; e le osservazioni erano postille buttate qua e là alla poltrona su 'l costume e l'elocuzione; alle quali oppose certe note, senza nulla d'amaro ma né anche di salso, un Domenico Mauro di Noia.(114) A proposito di alcuni versi nel monologo del satiro (a. II, sc. 1),
     
      Ohimè! quand'io ti porto i fior novelli,
      Tu li ricusi, ritrosetta, forsePerché fior via piú belli hai nel bel volto ecc,
     
      il Benvoglienti fa un riscontro nuovo allora e non inopportuno con la poesia popolare: «Questi vaghi pensieretti sogliono dire i pastori nei loro rispetti verso le loro innamorate, ma non convengono in bocca d'un satiro».
      Passando a men noiosi anni per la poesia e per la critica, il meglio che potesse dirsi nel senso della bella letteratura neoclassica lo disse l'abate Serassi nella vita del poeta (1785), e poi il ben detto allargò nelle prefazioni alle due splendide bodoniane stampe dell'Aminta (1789 e '96). Mentre il piú fiorente poeta del tempo celebrava
     
      I bei carmi divini onde i sospiriIn tanto grido si levâr d'Aminta,
      Sí che parve minor della zampognaL'epica tromba, e al paragon geloso
      Dei sommi onori dubitò Goffredo,(115)
     
      il miglior critico della letteratura cinquecentistica ci ragionava intorno cosí:
     
      .... Quanto egli [il Tasso] si mostra grande, sollevato ed eroico nel suo maggior poema, altrettanto è sedato, gentile e semplice in questo boschereccio componimento.


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Su l'Aminta di Torquato Tasso
Saggi tre
di Giosuè Carducci
Sansoni Firenze
1896 pagine 129

   





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