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      Se non che l'Alfieri, anzi che bevere per la favella tragica ai fonti dell'Aminta, ne avea pensato diversamente da tutti e a modo suo. Ecco, inedito, il suo parere.
     
      Stimatissimo in Italia č codesto poema del Tasso, benché a parer mio di gran lunga inferiore alla Gerusalemme dello stesso autore. Egli č vero che sono tra loro differenti i generi, poiché nulla lo stil pastorale si confŕ con l'epico; ma vero č altresí che codesto genere di pastorali sceneggiate č per sé stesso mediocre, e non sollevabile nella rappresentazione. L'Aminta č pieno di bellissimi concetti leggiadramente espressi, ma languisce in moltissime scene: l'intreccio non me ne piace affatto, e tutta la favola si passa in narrazioni inverisimili. Io credo potersi paragonare questo genere di spettacolo pastorale a quello delle tragedie volgarmente dette urbane, che non sono commedie né tragedie ma tengono alquanto delle due: cosí la pastorale fra la tragedia ed il dramma tiene un mezzo indefinibile che in scena deve necessariamente riescire insipido. Ogni terza specie č cattiva; ed č senza dubbio il frutto o del non ingegno o d'una stravagante immaginazione. Nell'Aminta non scorgo intreccio veruno. Il personaggio di satiro č contrario ai costumi ed inutile all'azione: quello della sfacciata Dafne serve a poco: Elpino poi non č introdotto che per narrare il fine, cosa che poteva egualmente far Tirsi. Insomma, se l'Aminta come teatrale componimento esamino, mi par cattivissimo; se poi come semplice poema, una raccolta di belle elegie lo giudico.


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Su l'Aminta di Torquato Tasso
Saggi tre
di Giosuč Carducci
Sansoni Firenze
1896 pagine 129

   





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