Vedevasi però tutti all'altro capo della tavola a parlare e ad ascoltare il principe Gaspare, mentre l'altro moria di vergogna, vedendo fissi sopra di lui gli occhi di tutta la compagnia da quel lato.
Terminatasi la cena, il principe palatino il trasse in disparte, e da esso fedelmente circonstanziata intese tutta la miserabile istoria. Avea quel principe, ascoltandolo, il dolore dipinto sul maestoso suo volto, ed arrossia che fosse in Varsavia un uomo onesto sottoposto a simili vigliaccherie. Terminata la sua narrazione, ei domandò al principe cosa il consigliasse di fare nel caso in cui si trovava; alla qual domanda rispose ch'era suo costume di non dar mai ad alcuno il suo consiglio in pari casi: conviene all'uomo onesto in simili frangenti, diss'egli sospirando, far molto, o nulla affatto. Così dicendo il principe si ritirò, e l'altro, fattosi dare la sua pelliccia, uscì dal palazzo, entrò nel suo legno, e si avviò alla sua casa, dove coricossi subito e dormì saporitamente sei ore. Svegliato prese certa medicina, che erano già due settimane che prendea, per guarire da certo male che allora l'affliggea e che l'obbligava dopo presa a starsene per lo meno sei ore a letto. Fatto ciò, si accinse a spicciare le lettere sue e quelle che indispensabilmente dovea in quel giorno di mercordì, giorno in cui partia il regio dispaccio per l'Italia, mandar alla corte. Accingendosi a questo lavoro, ricapitolò ciò che gli era avvenuto col Postòli la sera della non ancor scorsa notte; riandò il proprio contegno e ponderò le parole che il principe palatino di Russia gli avea detto, richiesto di consiglio, ed in quelle sagge parole, che glielo negavano, ei lo trovò. Molto, o nulla.
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