Pensò prima al nulla, e si ricordò che Platone nel Gorgia dicea che l'eroismo consiste nel non far ingiuria ad alcuno, onde ne segnia che dovea più pregiarsi colui ch'era capace di soffrirla, che l'altro che impunemente avea saputo farla. Che non essendo egli uomo di guerra, mestiere che chi il professa dee convincere il mondo che non fa caso della vita, e fuggir la nota di spauroso come fugge l'infamia, era dispensato dalla sovrana legge di uccidere chi l'insultò o di farsi dallo stesso uccidere; onde potea con intrepida ed altera fronte dichiararsi seguace del gran filosofo, che dice chiaro nell'ep. VII, ch'è meno disonore sopportar gravissime ingiurie che farle. Pensò poi anche che era questa la massima di un cristiano, e si rimproverò che Platone si fosse presentato alla sua mente un momento prima del Vangelo. Ma, riflettendo poi col maledetto orgoglio attaccato alla natura umana, esaminò il modo del pensare de' filosofi della corte, li quali espressamente o tacitamente vogliono che l'onor regni e che l'onore sia modellato dal codice militare, per accelerare il trionfo del quale i monarchi medesimi ne portano addosso pomposamente le insegne. Egli vide che, se l'avesse fatta alla platonica, sarebbe stato un buon cristiano ed un bravo filosofo, ma non meno perciò disonorato, e vilipeso, e forse cacciato via dalla corte, o escluso dalle nobili assemblee con maggior obbrobrio.
Tale è il nostro secolo. Tocca alla filosofia a lagnarsene, e quelli che vogliono seguire le di lei massime debbono abitare da per tutto fuori che nelle corti.
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