INTORNOAD UN
DISCORSO SOPRA LA CALAMITADEL P. D. BENEDETTO CASTELLI
Fra i molti tesori di cose edite ed inedite che si conservano nella preziosa collezione dei Manoscritti Galileiani presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, e precisamente nella divisione quarta di tale collezione, dedicata ai "Discepoli di Galileo", è contenuto un Discorso sopra la calamita, scritto dal P. D. Benedetto Castelli(1), ed indirizzato sotto forma di lettera a Monsignore Don Ferdinando Cesarini, prelato Romano e referendario dell'una e l'altra segnatura(2).
Di questo Discorso non è a noi noto se non l'esemplare testè menzionato, il quale occupa le carte 191 recto usque 206 verso del Tomo I(3) della anzidetta divisione. Esso è scritto di mano ignota, con caratteri verosimilmente appartenenti alla fine del decimosettimo secolo e non contiene alcuna indicazione, dalla quale risulti con tutta precisione il tempo nel quale la presente scrittura è stata stesa. Nulla affatto poi è a questo proposito contenuto nell'indice premesso al volume che la contiene, nel quale si legge soltanto:
Discorso inedito sulla Calamita diretto a M.r Ferdinando Cesarini, quaderno in fog.° di pag. 16 scritto in carattere del tempo.
Non è tuttavia difficile l'argomentare per via di approssimazione in quale epoca della sua vita abbia D. Benedetto Castelli stesa la presente scrittura.
Anzitutto, accennandosi in sul principio di essa ad una conversazione tenuta in quei giorni con Don Ferdinando Cesarini, non v'ha dubbio alcuno che il Discorso, del quale ci stiamo occupando, fu steso da D. Benedetto Castelli nel tempo della sua dimora in Roma, che fu dal Marzo 1626(4) al Marzo 1641(5); di più, richiamandosi in detto lavoro il Castelli ad altro suo discorso nel quale ebbe ad osservare la somma debolezza dell'intelletto umano intorno alle cose naturali ed anco geometriche, la quale "è tale che venendo noi interrogati di qualsivoglia problema, se vogliamo rispondere per verità, ed aggiustatamente, non possiamo rispondere meglio che con un sincero e schietto NON LO SO", ci sembra che con queste parole egli faccia evidente allusione alla seconda delle lettere da lui indirizzate a Galileo intorno al differente riscaldamento, che riceve dai raggi del sole la metà della faccia d'un mattone tinta di nero, dall'altra metà del medesimo mattone tinta di bianco, nella quale si legge il passo seguente(6):
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