Intanto l'odio, che prima si divideva sopra i singoli tiranni, si accentrò naturalmente contro quella potenza che tutti li proteggeva. Milano e Palermo, la Romagna e la Calabria, non avevano nei passati secoli avuto mai pensiero di tutela commune; poichè il pontefice, invocatore perpetuo degli stranieri, aveva sempre mandato a ciascun popolo un diverso dominatore da combattere o da soffrire. Ma ora l'Austria, sola, pareva delegata dall'Europa a far disonorata e infelice tutta la nazione. Adunque i popoli d'Italia non riuscirono alla fratellanza dell'amore, se non dopo essersi incontrati nella communanza dell'odio. Questo è beneficio che devono al nemico. Fu allora che ricordarono con dolore Napoleone, e le armi da lui date invano all'Italia e il glorioso vessillo del suo regno. Anche i liguri e i subalpini e i toscani che non avevano portato in guerra quei colori, li adottarono a segno di unità; e persino i carbonari dell'estrema Calabria che li avevano odiati e combattuti, li accettarono tramutando in bianco il nero del mistico loro tricolore.
Perchè l'Austriaco non seguì l'esempio di Napoleone, di conciliare alla sua potenza i naturali affetti dei sudditi italiani? Perchè non volse a suo profitto la malvagità dei prelati e dei principi; e al primo fremito di popolo non si frappose, vindice del secolo e giudice degli oppressori? Non era quello l'antico pretesto alle incursioni degli Ottoni e degli Arrighi? Nè importava che inviasse le truci caterve della Croazia, ma colle insegne del regno italico i fratelli italiani; i quali senza sangue, potevano acquistargli le ambite Legazioni, e quant'altro gli convenisse.
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