Metternich era uno straniero; stranieri i Frimont e i Bellegarde. E Haynau, ribrezzo del genere umano? E la vittima dell'ira popolare, Latour? E Zobel, carnefice di prigionieri? E chi erano Ficquelmont, e Daspre, e Nugent, e Wallmoden, e Schönhals, e Culoz, e Dahlerup? E tutti quei principeschi venturieri di Hohenzollern, di Hohenlohe, di Homburg, di Coburg, di Reuss, di Würtenberg, di Stollberg in cui nome s'intitolano tanti reggimenti? E i venturieri della finanza, i Bruck, i Sina, i Rothschild? Gente che non ha patria, come i normanni del medio evo, come i filibustieri, gli algerini, i cardinali, i gesuiti! Nè rappresentarono mai gli interessi d'alcun popolo dell'imperio; ma erano il nucleo d'un governo cosmopolitico, incorporeo, astratto. Che importa a costoro giovare all'Austria o alla Russia? Servire il Merovingo immemore, o l'ambizioso di Heristal? E così gli arciduchi ora sono in faccia alla Russia ciò che i duchi e granduchi e re dell'Italia erano in faccia all'Austria trent'anni fa; ciò che il Gran Mogol e il Nizam divennero in faccia all'Inghilterra. La gran predizione si compie; l'oceano è agitato e vorticoso; le correnti vanno a due capi: - o l'Autocrata d'Europa - o gli Stati Uniti d'Europa.
In mezzo a sì vaste e ineluttabili influenze, i difensori dell'Austria si divagano ad accusare dei moti d'Italia ora le società secrete, ora la volubilità del pontefice, l'oro degli ottimati, le insidie del regale congiunto, le imaginarie trame dell'Inghilterra.
Le società scerete, nel Lombardo-Veneto, ove, l'impeto popolare riescì più unanime, avevano avuto minor voga che nella rimanente Italia.
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