Corsero sedici anni: e apparve, nuovo spettro di liberatore, il pontefice Pio IX. E l'instancabile proscritto della Giovine Italia, si rivolse a lui. E l'8 settembre del 1847, non sapendolo nemico della patria, e implorante di nascosto le armi di Metternich, gli scriveva da Londra: "Unificate l'Italia, la patria vostra. Combattete colla parola del giusto il governo austriaco. Abbracciate nel vostro amore ventiquattro milioni d'italiani, fratelli vostri. L'unitā italiana č cosa di Dio, parte di disegno providenziale, voto di tutti. Il risorgimento d'Italia sotto l'egida d'un'idea religiosa, sotto uno stendardo, non di diritti ma di doveri, porrebbe l'Italia a capo del progresso europeo. Un altro mondo debbe svolgersi dall'alto della cittā eterna ch'ebbe il Capitolio ed ha il Vaticano". E anche queste erano parole di vita dette a un cadavere. Il papa non aveva parole contro l'Austria, o in difesa dei fratelli. E per nulla si dolse poi che in quel medesimo giorno, 8 settembre, il popolo di Milano venisse scannato, per aver cantate a coro le sue lodi, e sperato ingenuamente nel suo nome.
I tempi si facevano terribili: l'Italia fremeva del sangue sciupato in Milano, in Padova, in Pavia. Gli esuli volgevano dalle terre trasmarine gli occhi all'Italia. Il proscritto Garibaldi scriveva il 27 dicembre da Montevideo al proscritto Antonini: "Io pure cogli amici penso andare in Italia ad offrire i deboli servigi nostri al pontefice, o al granduca di Toscana". E li offerse poscia anche a quel re che lo aveva condannato a morte.
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