E questi fanno menzione anche della mistica medaglia, che sta in fronte al nostro Volume e può facilmente vedersi in metallo nelle raccolte numismatiche; barbaro accozzamento di cifre gotiche e di baccelli palageschi, di mostri blasonici e di visi umani, che il re inviava secretamente ai suoi devoti, come il pontefice manda intorno le rose d'oro e i femori di santa Filomena.
Questi maneggi erano antichi. Fin da molti anni addietro ordinavasi in Brusselle e in Parigi il comitato dei Veri Italiani; si trasferiva poscia in Pisa e in Firenze; e di là si propagava a Bologna e a Forlì, nonchè a Roma, a Napoli, a Palermo. Pare che rimanesse obliata la sola Venezia, non sappiamo per qual disegno; e per verità, anche quando la si ebbe, si tentò di adoperarla a fare un baratto, rinnovando la vergogna di Campoformio. Forse si temeva che, l'unione di Genova e di Venezia insospettisse l'Inghilterra; forse Genova medesima, per triviale gelosia mercantile, voleva trarre a sè sola il commercio della valle cisalpina. Intanto si arrolavano alle congreghe albertine gli scrittori ambiziosi; e i ricchi che avevano titoli o li agognavano; e sopratutto parecchi capi dei carbonari e delle altre sêtte. E ai repubblicani si predicava non essere maturi ancora i tempi alla libertà; doversi consecrare i pensieri prima all'indipendenza; al che necessitava fare un regno grande, ossia farsi tutti sudditi di Carlo Alberto; il quale aveva pronto un esercito. E l'esercito vi era; ma il re l'aveva ordinato a frenare nelle guarnigioni i suoi sudditi, non a campeggiare contro gli stranieri.
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