L'esercito non aveva stato-maggiore addottrinato a condurlo; perchè si era convenuto che, in caso di guerra colla Francia, l'Austria reggerebbe. A quelli che dubitavano o disperavano dell'animo di Carlo Alberto, si faceva intendere che ove il re non si mettesse all'opera di buona voglia, l'avrebbero costretto. A quelli che ad ogni patto non volevano aver padrone, si diceva che, dopo la vittoria, lo strumento della vittoria ben si poteva spezzare; e proclamare l'intera libertà. Così la gesuitica congrega di Torino avviava quella versicolore ed assurda ricucitura della fusione, che pretendeva accozzare le opinioni inconciliabili e gli interessi nemici in una concordia infida e caduca, purchè durasse quant'era necessario a sventar l'impeto popolare, e furar l'occasione alla libertà. Allora dovettero appartenere ad una stessa causa Guerrazzi e Gioberti, Azeglio e Bianchi-Giovini, Settimo e Bozzelli, Balbo e Sterbini, Valerio e Cavour; e arrabattarsi in carnevalesca miscela Pinelli, Buffa, Zucchi, Salvagnoli, Gioia, Correnti, Minghetti, Ridolfi, e altri senza fine; abbracciarsi principi e popoli, poliziotti e carbonari, epuloni e martiri, gesuiti e antologisti, ciambellani e republicani, per uscir poi di quell'orgia regale disingannati e discordi più che mai.
Intanto il tempo scorreva; e alle parole non seguivano i fatti. Nessun indicio si vedeva della guerra del re, e nemanco d'animo veramente riformatore e liberatore in lui; chè anzi lo si vedeva accosciato sul letamaio del gesuitismo e della polizia.
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