E quindi appare una delle cause perchè il moto, non venne già dalla frontiera, ove stava Benedek ad aspettarlo; ma scoppiò prima nel Veneto, ch'era vergine ancora dalle corruttrici influenze di Carlo Alberto; e di città in città giunse a Milano. E come vedrassi nel seguente volume, Pavia, le cui case toccavano il Piemonte, i cui cittadini avevano in Piemonte i poderi, e perciò sapevano troppo bene le piaghe del gesuitico governo, fu l'unica città del Lombardo-Veneto che non si levò se non dopo la partenza degli austriaci. Non si levò se non nella notte del quinto giorno dacchè udiva muggire nella vicina Milano il cannone. E non fu già indifferenza che quella illustre città serbasse alla causa italiana; poichè nella opposizione legale i suoi magistrati mostrarono singolare sollecitudine e dignità.
Gli ottimati che, per piacere al Piemonte, venivano tollerati e voluti a capo d'ogni cosa in Milano, non erano già, come i generali austriaci ripetevano nella gazzetta d'Augusta, i prodighi agitatori d'una plebe venale; ma tanta avarizia recarono in ogni cosa, quando frivola non fosse, che per lo stento del denaro non si poterono compiere i disegni; non si potè nemanco ordinare la necessaria catena degli avvisi. E per manco d'avvisi, la nuova di Milano insurta appena giungeva il 18 a Como e a Varese; e Vicenza seppe solo al 28 che Milano era libera dopo il 22; e Milano seppe la risurrezione di Venezia solo il 24. E Verona e Mantova, poste nel mezzo, rimasero libere custodi delle ferree loro porte, fino al lento ritorno del Daspre da Padova e del Wocher da Milano; evento decisivo per tutta la guerra; poichè ben altra cosa sarebbe stata, se il popolo avesse tenuto Mantova e Verona, come tenne Venezia e Palmanova.
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