Facevano anco quei sacrifici di sangue ch'erano necessari a conservar nei popoli l'illusione d'esser difesi; spingevano gli infelici soldati "nell'imbuto di Santa Lucia" come lo chiamò il general Bava; divagavano i popoli col cicaleccio della fusione; richiamavano i volontari dal Tirolo; abbandonavano i toscani a Curtatone; abbandonavano i romani a Vicenza; perdevano mano mano tutte le provincie; infine, il 4 agosto, Lazari, il capo della polizia sarda, andava al campo di Radetzky a patteggiare la consegna di Porta Romana; la sedizione era finalmente compressa; le acque torbide si raccoglievano nel pristino letto. L'opera dei gesuiti fu assecondata dalla congrega diplomatica; la quale non poteva, per così poca cosa, uscire dal patto del 1815, ch'è la legge dell'Europa, finchè l'Europa medesima, tutta rinnovata, non si stringa in altro patto.
E ora vogliamo far cenno di quella unità nazionale, a cui molti generosi parvero quasi posporre la libertà. Certo, chi miri a qual mole straniera si dovesse far fronte, non si farà meraviglia che sembrasse necessario contraporvi tutta l'Italia, o almeno quella maggior parte che si potesse, e quanto più si potesse saldamente unita. E anche in ciò si vede, come nel rimanente, l'effetto della nazional reazione contro l'artificiale centralità straniera. Ma i più andarono errati, giudicando che la forza militare si misurasse a numero di popolo, e imaginandosi d'aver finito la guerra, quando fossero riesciti a stivare sotto la predella d'un trono dodici o quindici milioni di gente.
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