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      L'amor della patria non parve più delitto al cospetto di Dio. Si videro, in quella improvisa fede, piangere di gaudio vecchi onorati, che fin dalla gioventù avevano deposto appiè delli altari i più generosi affetti, e inclinata la fronte al decreto di Dio che li aveva voluti al mondo senza diritti. Epperò nel popolo, sciolto da quelli artificiosi lacci e conciliato colla sua ragione, ribolliva il sangue di quelli antichi suoi padri, che avevano affrontato i romani e i goti e i due Federici, e spezzato le corazze francesi a Parabiago, e le alabarde svizzere alla Bicocca.
      In mezzo a questi fieri sentimenti, cadde come scintilla sulla polvere la novella della fuga di Metternich e della libertà di Vienna. Ma quel riverbero di libertà non nostra parve ad alcuni più esoso della passata servitù; pensarono che potesse abbagliar gli animi: sedurli a qualche nuovo impasto d'italiano e di tedesco, il cui solo pensiero pareva un abominio. Non capirono che il sentimento nazionale era già più forte d'ogni paura o d'ogni lusinga; non pensarono qual poderoso soccorso sarebbe alla mente publica, dopo tant'anni, un raggio di libera stampa; non videro che la rimanente Italia abbisognava, se non d'anni, almeno di mesi, per ordinarsi nell'armi e nei pensieri, ed esser pronta sulla frontiera il dì supremo; non intesero che la guerra ci avrebbe infeudati immantinente a chi aveva bensì gli eserciti, ma non li aveva intesi a strumenti di libertà, e nemanco di guerra. I più precipitosi e improvidi si raccolsero a notturno consiglio; deliberarono di gettar fra il popolo, nell'indimani stesso, il segno della battaglia, certi che l'avrebbe accettata.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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