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      Il preside del municipio, Gabrio Casati, "fu l'ultimo al quale fu annunciato quanto doveva avvenire". Alle otto di quella stessa mattina lo s'informò officialmente, e quasi gli s'impose di recarsi al palazzo municipale. Egli scongiurava si sospendesse: si risparmiasse il sangue: il Piemonte, entro due settimane, avrebbe fatto la guerra all'Austria: promessa a lui fatta dallo stesso re.
      Casati, per evitare il pericolo, si avviò, prima dell'ora a lui prefissa, verso altra ed estrema parte della città, ov'era il palazzo del governo: "al governo, per conciliare, anzichè al municipio a promulgarne il decadimento". Si tentò d'impedire quell'improvisa passeggiata; ma fu impossibile sviare la folla. Colà giunto, il Casati si trovò inanzi a O' Donnell: si guatarono atterriti. Un granatiere alla porta aveva fatto foco: un colpo di pistola nel petto l'aveva steso a terra. L'onda del popolo aveva travolta e disarmata tutta la guardia. "Mentre il sangue suggellava la rivoluzione, Casati implorava qualche concessione. O' Donnell si scusava. Infine gli astanti lo costrinsero a sottoscrivere ed avviarsi prigioniero al Broletto. E quasi prigioniero era il Casati in mezzo alla turba; la quale, acclamando la rivoluzione, univa a' suoi gridi anche il nome di colui che contro animo, pallido, esterrefatto la seguiva".
      Scrive Carlo Clerici, giovane assai popolare in tutta la città: "Ci avviammo, e mi si disse da chi era stretto all'alta lega di nascondere, pel mio bene, la sciabola, il tutto potendo terminare ancora in una semplice dimostrazione.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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