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      Se la volevano, perchč far inciampo alla furia del popolo con codeste menzogne di pace e di neutralitą? Che se volevano veramente colla fratellanza delli oppressi soprafare gli oppressori, non bastava pił rivolgersi al popolo: era mestieri appellarsi nelle loro favelle ai soldati: era mestieri sventolar subito in faccia alle attonite pattuglie i tricolori delle nazioni, o quell'unico colore che parla a tutte di libertą: gridare all'ungaro ch'egli era ungaro, al croato che i suoi figli erano in Croazia: dir loro che Metternich era fugito: che l'imperio non era pił: che Radetzky non aveva pił ordini, che non aveva pił comando: che l'imperatore chiamava a far le leggi altra gente (ed era affisso ai canti delle vie): che ogni soldato ora tornerebbe in pace alla sua patria nel nome di Pio IX e della libertą: sommergere nel vino e nell'aquavite, nelli evviva a tutti, e nell'abbraccio ai fratelli, la coscienza militare e la paura del bastone: isolar gli officiali, o attrarli nel vortice, poichč v'erano pure in quelle file gli Aulich, i Meszaros, i Klapkanota: gettare nell'impotenza e nel disprezzo i vecchi i quali avevano decantato quelle spade invincibili che non potevano pił sfoderare. Era pur grande il ridicolo di veder trionfante la rivoluzione a Vienna, a tergo di quei reggimenti che venivano a marce forzate a soffocarla in Italia. Era maggior ferita all'Austria sedurle un battaglione, che trucidarne quaranta. Ma per codesta guerra di fratellanza era mestieri che i Balbo, i Gioberti, gli Azeglio e gli altri non avessero insultato all'Europa, gridando in nostro nome guerra ai barbari, e che gli esuli, inspiratori dei secreti pensieri all'Italia, le avessero fin d'allora additato la formula fraterna dell'universale libertą.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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