E lo stesso maresciallo, poche ore dopo, scriveva a Ficquelmont: "Pur troppo l'efficacia della polizia è affatto elisa, è assolutamente impossibile far conoscere i proclami da me diretti al popolo". Quali fossero codesti suoi proclami non sappiamo; poichè nessuno li vide; e non crediamo che siano stati mai scritti: ma Radetzky nella sua lettera alla municipalità non l'accusò d'essersi costituita in governo provisorio; la considerò come autorità legitima e consueta. Con qual titolo dunque ei la faceva in quel momento medesimo assalire a tradimento nel palazzo? Essa era al suo posto.
Non bastava ch'egli scrivesse in quella sera a Ficquelmont: "Milano è dichiarata in istato d'assedio". Dichiarata? Quando? Con qual atto? e da chi? Fatti di così tremenda natura, che annientano d'un colpo tutti i diritti delle leggi e dell'umanità, devono esser publici e non occulti; devono annunciarsi alla luce del sole, e non di notte, nel nascondiglio d'una caserma. "Il nemico s'avvicinava: ecco giungere a fretta vari del popolo che avvertivano invaso il vicino Ponte Vetro: nel cortile del palazzo sopragiungeva portato a braccia un ferito: il popolo l'aveva levato dal luogo del conflitto e lo portava a morire tra' suoi".
Intanto il municipio rispondeva a Radetzky: "Lo pregava cessasse il foco, perchè, durante la notte, l'autorità potesse indurre nelli animi colla persuasione la tranquillità; prometteva avrebbe adoperato ogni via. Pregava di pronta risposta: la congregazione sarebbe rimasta in permanenza sino al mattino, ad attendere le sue partecipazioni.
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