In data di un'ora dopo mezzodì, comparve verso sera un loro avviso, in cui si leggeva: "Le terribili circostanze di fatto, per le quali la nostra città è abbandonata dalle diverse autorità, fanno sì che la congregazione municipale debba assumere in via interinale la direzione d'ogni potere, allo scopo della publica sicurezza". La publica difesa era dunque un fatto: non era un diritto. La città non era ribelle: era abbandonata; abbandonata anche da Radetzky! Il municipio non voleva: ma doveva; era costretto. E solo con mano dubiosa, e in via interinale, e per imperio di circostanze terribili, s'induceva ad assumere ogni potere. Gli infausti nomi di Guicciardi, di Durini, di Giulini, di Strigelli, di Borromeo, ricordavano i conciliaboli e i parentadi che nel 1814 avevano posto in mano all'Austria l'esercito e il regno. Per quali arti erano mai pervenuti coloro a patteggiarsi il voto della magnanima gioventù? Come potevano i cittadini dimenticare d'aver deriso, non era ancora dieci anni, quei maggiorenti della città e dignitari del regno, quando, radianti di felicità, fregiavano dei loro ciondoli e delle loro livree le pompe dell'incoronazione? L'uomo ha un cuor solo; e il cuor di costoro non era stato mai per l'Italia. Nel 1841, essendosi fatto appello ai cittadini in favore della via ferrata di Milano a Venezia, essi erano usciti da inveterata inerzia per impadronirsi di quella splendida impresa. E l'avevano fatta trastullo d'avara e inetta vanità, millantandosi in faccia a Metternich di voler fare essi ogni cosa coi loro denari.
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