Ma il popolo non volle lasciarli andare armati; ed essi, per costringerlo a desistere, ritennero ostaggi i parlamentari Frizzoni e Zuccala. A tarda notte, i croati delle quattro caserme tentarono far massa in una; ne nacque accanita pugna. I municipali la interruppero con parole di pace, esortando il popolo "ad esser indulgente, e lasciar partire incolumi alla volta di Verona i vinti nemici".
A Cremona, nella notte, si erano barricate le vie, armate le case; "al mattino ognuno presagiva vicina la lutta; regnava la quiete del sepolcro". Tre ulani, che tentarono una esplorazione, caddero uccisi. Schönhals, chiuso in Piazza d'Armi, senza viveri, senza ritirata, capitolò; lasciò liberi i battaglioni italiani; consegnò sei cannoni con munizione e cavalli, ma ottenne dalla municipale debolezza di partire, conducendo seco la cassa di guerra, 400 ulani con armi e cavalli, e gli altri officiali e soldati stranieri, sotto la vana promessa di non combattere contro l'Italia. A Pizzighettone i cittadini arrestarono il comandante; e rimasero padroni della fortezza, con tutte le artiglierie e 700 casse di munizione. Non così a Mantova, ove il comitato municipale, vietando le armi ai cittadini, vietando le armi ad ognuno che fosse "illegalmente armato", elemosinava poi 500 fucili, prima al comandante nemico, poi per deputazione del vescovo al vicerè in Verona, al quale faceva anche domandare che ordinasse a Gorczkowski di consegnare la fortezza ai cittadini. Intanto lasciava libero il corso ai dispacci di Radetzky, e aperto il passo al duca di Modena, che sotto il mentito nome di conte Molin, sebbene da tutti conosciuto, potè recare in salvo la persona e il tesoro.
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