In aspettazione che la legge marziale desse arbitrio di metter mano sulla vita de' grandi, s'infieriva tra le latebre del Castello contro i plebei. "Incominciavano le esecuzioni militari: il giorno 20, ne scorgevamo passare un dodici per il cortiletto, ove pare vi fosse una specie di consiglio. In un'ora furono giudicati; uscirono in mezzo ad una turba di soldati furiosi e imprecanti; e per la porta grande tratti nella terza corte. Scorsi pochi minuti, ne giunse all'orecchio un funesto scoppio. Cadevano sul margine della fossa del terzo cortile. Il 21, altri colpi, nel terzo cortile, ci avvertirono che altre vittime cadevano".
La sola necessità dell'esempio può scusare, s'è possibile, l'uomo che trae l'uomo al patibolo. Ma un supplicio clandestino è un vile omicidio. Ora dicano i fautori dell'Austria a cui fossero d'esempio quelle morti, inflitte in secreto, per ignote colpe, a uomini che sparvero dal consorzio dei viventi senza che alcuno sapesse se per crudele giudicio o per caso di guerra. E un'altra dimanda facciamo. Entro, e intorno, a quelle orride fosse in cui colavano le latrine del Castello, si raccolsero fra i molti cadaveri alcune reliquie di membra feminili. Chi aveva ucciso quelle donne? Chi sa i nomi dei cavallereschi officiali che sedevano a giudicarle, e a darle da trucidare e mutilare ai soldati, e da gettare insepolte in luogo immondo?
E ancora, fra le luttuose memorie, ci conforta che il nostro popolo ha le mani pure di siffatte viltà.
I più infervorati nell'armistizio erano Durini e Borromeo; il primo per certi suoi cavilli che altri non saprebbe facilmente ritessere; il secondo perchè s'era fitto in mente che entro 24 ore la città sarebbe, senza viveri e senza munizioni.
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