Ma poteva ciò scusare le contumelie e le percosse e le furtive uccisioni?
Pare che Radetzky, tostochè, nel pomeriggio del quarto giorno, ebbe ricevuto quella ripulsa, non pensasse se non a raccoglier d'ogni parte le sue forze e accingersi alla ritirata. "Nella giornata del 21", scrive un officiale austriaco, "vista la seria piega che prendevano le cose in Milano, spedì il maresciallo uomini in tutte le direzioni con ordini espressi alle piccole guarnigioni delle vicinanze e alle brigate che custodivano i confini, di recarsi immediatamente sulla capitale. Forse sperava, rinforzato di nuove truppe, di domare ancora il movimento; forse volgeva già allora nell'animo la ritirata e ne preparava i mezzi. Il corriere di Magenta, vi giungeva difatti la notte del 21 al 22". Un medico che fu prigioniero scrive: "Era chiaro che il popolo acquistava ad ogni istante terreno; vedevamo uscire i soldati a compagnie e ritornare a drappelli; uscivano furibondi e tornavano col pallore sul volto, sozzi di sangue e feriti. Sdraiati nel fango sanguinoso de' cortili, facevano orrido spettacolo. Radetzky doveva pensare alla ritirata; le soldatesche affamate non avevano più fede nei loro capi; s'egli avesse tardato ancora un giorno, avrebbero tumultuato. La fucilata si udiva sempre più vicina; le palle ribattevano per le mura del Castello; alcune per la loro grossezza parevano lanciate da piccoli cannoni. Il popolo, dunque, si avvicinava; spesso ci pareva udirne il minaccioso ruggito. Il dì 20 e il 21, si vedevano già i cortili del Castello pieni di carri e di carrozze.
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