L'ordine della partenza era dato, poi rivocato". Narra un soldato italiano del Geppert: "Dopo quarantotto ore, siamo tornati in Castello, il martedì; maggior confusione; molti carri e carrozze; mucchi di bauli ed altri preparativi di partenza; si condussero dentro buoi e vitelli, si ammazzavano, si facevano in pezzi, si mettevano a bollire mangiandosi mezzo crudi. Entrarono, urlando come bestie, alcuni croati; due o tre avevano infilzato sulle baionette poveri bambini; alcuni dei nostri abbassarono le armi per andare a punire i barbari. Eravamo tutti pallidi di rabbia. Si sentivano dappresso le fucilate; un tirolese fa ucciso da una grossa palla di spingarda nel cortile medesimo".
La linea nemica era già quasi interrotta presso la Porta Tosa, ove si combattè caldamente tutto quel giorno. Al di dentro, il popolo s'era stabilito nel Conservatorio; di fuori, presso la stazione della Via Ferrata; in quell'intervallo di 300 metri i due fochi s'incrociavano, radendo il dorso del bastione, ch'era selciato di cadaveri. Inanzi mezzanotte, era fatto concerto di salir d'ambo le parti sul bastione e trincerarsi. "Io con un lumicino", depone un testimonio, "accompagnai l'ingegnere Cardani e diversi altri, tutti armati di fucile e carabine. Alcuni zappatori, diretti da Borgocarati, entrarono nel giardino; procurai loro una leva di ferro per aprire una breccia nel muro di cinta. Cardani li condusse per gli orti sui bastioni. Ivi furono da noi calate le scale al di fuori, lungo le mura, onde avessero ad ascendere quelli che si trovassero esternamente; sfortunatamente non si vide nessuno". Gerolamo Borgazzi, avendo raccolti, fuori le mura, duemila armati, era penetrato, solo, in città per fare quell'accordo col consiglio di guerra; ma pare che il nemico, avvistosi di tanta adunata di gente, occupasse con forze esuberanti la stazione e le case vicine, ponendo a ferro e foco ogni cosa.
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