Quell'inazione degli albertini che abbiamo notata in Brescia e in Bologna, fu manifesta anche in Reggio e Piacenza. Tutte queste città seguirono debolmente i moti di Milano, di Roma, di Modena, di Parma, perchè già era posta una delle secrete norme dei fusionari: alienare le provincie dalle capitali: sedur quelle per costringer queste.
E anche in Parigi, mentre col patto dell'Associazione Italiana erasi accaparrata al Piemonte l'iniziativa, Gioberti scriveva per disviare da quell'iniziativa il Piemonte, predicando "pacatezza, sedatezza, per amore del cielo"; e all'uso gesuitico, infamava chi dicesse altrimenti: "ho buono in mano per credere che l'Austria ha la sua parte in tali rumori; certe cose non si possono sapere in Italia come a Parigi". Certo, a suo dire, quei valorosi che si facevano uccidere sotto ai bastioni di Milano, erano pagati dall'Austria! Senonchè il Piemonte aveva ben più autorevoli consiglieri. Abercromby inculcava "la più stretta neutralità"; e dichiarava "funestissimo errore il lasciarsi in alcun modo compromettere".
Per le quali cose tutte, era ben da aspettarsi che nessun adunamento di truppe vi fosse al confine. I reggimenti, se badiamo alla Gazzetta Piemontese, si ebbero poscia a chiamare fin da Nizza, da Torino, da Genova. Il presidio di Novara era di 1500 uomini; e ciò mentre gli Austriaci avevano tra il Ticino e l'Adda, in un intervallo di due marce, sette brigate. Un reggimento di cavalli ch'era a Vigevano inviò distaccamenti verso il Gravellone; i quali insieme a qualche compagnia di fanti "tenevano indietro la gente animosa", non volendosi "intervento legale"; e respingevano anche una sessantina di lombardi che il maggior Peroni condusse da Genova.
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