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      Senonchè, già prima ch'egli fosse arrivato a Torino, pare fosse di là partito il conte Enrico Martini, che, passato il confine presso Magenta la notte del 19, e giunto la matina del 20 presso Milano, vi si aggirò sino al dì seguente, quando trovò modo di farvisi introdurre travestito con quelli che apportavano in città il sale pei soldati. "Io sono inviato di Carlo Alberto", egli asseriva; "trentamila piemontesi stanno al Ticino, e attendono solo l'invito del governo di Milano per passarlo". A chi era fra quelle angoscie, il desiderio faceva parere i soccorsi del Piemonte sì certi e pronti, che, in quel dì 21, alcuno corse a riferire al consiglio di guerra di averli veduti colli occhi suoi dall'alto dei campanili; e il consiglio lo partecipò tosto al popolo: "La città è attorniata di numerose bande venute da ogni parte, fra cui si vedono uniformi di bersaglieri svizzeri, e piemontesi che hanno precorso i loro corpi che passano il Ticino". Ma fuori le mura, il popolo, avendo ben altre notizie e pur troppo certe, del Piemonte, fremeva; onde scrisse taluno alla Concordia, il 21: "Scrivo al rimbombo del cannone; mi sento cascar l'anima pensando a quei poveri infelici che si trovano in Milano; qui nel borgo bestemmiano contro i piemontesi, perchè non portano soccorso; mi tocca parlar milanese, perchè da ieri che aspettano i piemontesi, sarebbe imprudenza farsi conoscere".
      Martini dimandò ai municipali che facessero invito al re, in forma di dedizione. I municipali chiesero l'assenso del consiglio di guerra.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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