Intanto quell'angusto passo rimase aperto, dentro e fuori la città; e il nemico, verso mezzanotte, potè farvi sfilare in doppia colonna, fra le ruine delle ardenti case, i suoi battaglioni.
Nella quinta giornata tutta la Cisalpina era in armi. Dal lago Maggiore giunse, quella sera, a Varese la colonna di Luvino e Macagno; a Gallarate giunse da Angera la colonna Simonetta. Ve ne giunse altra da Varese, di 800 uomini, armata in parte coi fucili dei croati, e preceduta dai carabinieri ticinesi di Ramella. Ancora 450 si accingevano a partir di Varese il dì appresso; e il vecchio preposto d'Arcisate vi arrivò alla testa de' suoi, "a cavallo, cinto di spada, inalberando fra le turbe giulive un immenso crocifisso. Il giorno si chiuse fra gli inni a Pio IX e alla libertà".
A Como, duemila armati, coi ticinesi d'Arcioni, assediavano presso Porta Torre 600 Varasdini e Prohaska; i quali bersagliati di fronte e di fianco, e minacciati d'incendio e di mine, e privi di cibo da 36 ore, si arresero, con un colonnello, tre capitani e la bandiera d'un battaglione. "Uscirono inermi i soldati, comandati dai loro officiali, e schierati nella piazza attendevano gli ordini dei rappresentanti del popolo. Si dispose che a ciascun soldato si somministrasse pane e vino!". Il municipio, senza attender tempo, esortò gli armati al soccorso di Milano: "Noi abbiamo oggi raggiunto i nostri voti, e li avremo compiti, quando sarà cessato l'assedio dei fratelli di Milano; l'accorrere in loro sussidio è dovere, non restando altro a raccomandarsi fuorchè di non frapporre ritardo".
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