Ma se ben si mira per entro a questo volume, tutta quella politica e quella guerra appaiono nel breve preludio adombrate, e quasi diremmo predestinate.
Alcune centinaia di codesti frammenti furono a stento racolti tra i dispersi scartafacci del comitato di guerra di Milano. Sono ordini, avvisi e annunci d'ogni sorta, di ben minimo momento ciascuno per sè, ma pur segnati tutti della splendida impronta d'un tempo che gli eroi delle battaglie indarno affettano sprezzare, fintantochè l'arte loro e la virtù non trovino tanta fortuna almeno quanta n'ebbero gli uomini delle barricate.
E invero, quasi favolose oggi appaiono le capitolazioni austriache, registrate già in buon numero nel secondo volume, e anzitutto quella del presidio di Como: 20000 soldati, tutti stranieri, che rimasero fino all'ultimo uomo prigioni o morti. Al che qui si aggiunge la capitolazione del battaglione Poschacher in Rovigo, quella dei 900 ungaresi, fanti e cavalieri, che per sedicimila lire vendettero le armi loro ai parmigiani in Colorno, la incruenta prigionia d'uno dei generali Schönhals con 60 officiali in Rezzato, l'incruenta consegna dei forti di Comacchio, Magnavacca e Volano muniti di 42 cannoni, la presa di sei cannoni da campo in Cremona, di 17 pezzi in Pizzighettone, di 48 in Piacenza, e l'abbandono che fece Radetzky di 300 feriti in Lodi, senza annoverare quelle centinaia che aveva lasciate in Milano. Il che compie il quadro, già recato nel secondo volume, della confusione di quella ritirata, e del terror pànico delle due notti che quell'esercito passò tra Milano e Lodi: pur troppo impunemente, benchè una sola marcia lontano dal confine piemontese.
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