Agendo nihil agit. Deserti perfin di consiglio, gli adolescenti della Voce del popolo, facevano il 26 marzo il primo atto di stampa libera, ripetendo colli oracoli di Parigi: "Noi uomini di fede non abbiamo in pronto a spacciare principio assoluti di questioni sociali e politiche". E altra non ne avendo, ripetevano la parola d'ordine della monarchia futura, dicendo che "le forti popolazioni della zona settentrionale erano chiamate a difender l'Italia"; come se gli uomini di Romagna e di Roma e delle Calabrie e della Sicilia non avessero polso al braccio e non dovessero dividere ogni pericolo nostro. Con umiltà borghese inanzi ai personaggi del governo provisorio, predestinati ad essere i grandi del regno futuro, si dicevano "paghi d'essere avvocati del popolo presso al governo, se la sua carità avesse bisogno di consigli". Dicevano: "Il nostro motto politico è, per ora, aiuto, concorso, obedienza al governo provisorio; egli è surto dal popolo". Il che non era vero; e inoltre contribuiva a dar falsa popolarità agli armistizianti e agli intrusi, e autorità d'avviare ogni cosa al peggio. E intanto un oscuro giornale che osò rivocare in dubio l'origine di quel potere, potè venire impunemente minacciato ed assalito; e la libera stampa si vide manomessa quasi prima d'esser nata.
Mossi dal medesimo eccesso d'abnegazione, ossia dalla stessa impotenza del loro principio, gli uomini di più libero animo venivano dall'esilio a recare in tributo ai cortigiani le persone loro e quelle dei loro compagni.
| |
Voce Parigi Italia Romagna Roma Calabrie Sicilia
|