.. allora!".
Senonchč, a smentire la metafora del Fava, compare in quel medesimo giorno, 5 d'aprile, un manifesto del marchese Doria, altro dei compari, il quale, ammirando la concordia di tutti gli Italiani alla cacciata delli Austriaci, e tuttavia non contento, diceva: "Noi abbisognamo d'un'altra concordia... Abbiamo bisogno d'una concordia che ci dia la unione... Fratelli lombardi e veneti, alla gloria d'aver cacciato il nemico commune, unite quella di munire la patria commune con uno Stato forte". E gią cinque giorni prima erasi pubblicato in Brescia altro indirizzo d'un A. L. Bargnani, emigrato reduce, il quale, dopo molte circollocuzioni, conchiudeva: "Proporrei che tutti i municipii del contado e della cittą di Brescia, e lo stesso direi delle altre provincie lombarde e tirolesi, incaricassero i magistrati proprii di trasmettere a questo governo provisorio i loro voti, onde le provincie medesime vengano aggregate alli Stati sardi... I quali voti poi il nostro governo provisorio invierebbe a quello di Milano, e questo presenterebbe solennemente a Sua Maestą sarda, con o senza quelli delle altre provincie". Il lettore vedrą quante cose giacciano sottintese in quelle tristi parole: "con o senza quelli delle altre provincie". Pareva essersi gią deliberato il disegno di scindere Piacenza da Parma, Reggio da Modena, Brescia da Milano. Leggiamo altrove: "Ho parlato con un signore che viene di Lombardia, il quale dice che le provincie siano pił disposte ad acclamare Carlo Alberto a loro sovrano che non lo sia Milano". Ma nella medesima pagina leggiamo: "Il partito republicano pare che si svegli". E questo era un effetto ben naturale, non ostante il patto di Parigi e la comparsa di Mazzini sui balconi di piazza San Fedele.
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