Le lentezze della guerra, le slealtà della politica, le violenze del governo che faceva minacciare d'incendio la stamperia del Lombardo, da cui erasi onestamente rivocata in dubio la legitimità del suo potere, facevano sì che il 7 aprile venisse deliberato da alcuni giovani, presieduti, crediamo, da Giuseppe Sirtori, un manifesto d'associazione republicana. Venne però publicato nei giornali solo il 15 aprile, due settimane dopo la provocazione del Bargnani. E non ebbe la publica adesione del Mazzini se non dopo il decreto del 12 maggio.
Mazzini pose intanto a servigio dei patrizi i suoi uomini d'azione, come fa fede la proferta d'impiego da lui fatta in nome del governo al general Fanti, e controsegnata sul foglio stesso dal secretario Correnti. A nome pur del governo, Filippo De Boni s'indirizzò ad un comitato in Losanna, il quale doveva fornire un corpo d'ausiliarii che il governo simulava di volere accettare a' suoi stipendi, e di poterlo; e che poi naturalmente non potè e non volle. Inesperto del paese, l'illustre esule prestava inoltre involontaria mano a una petizione promossa dal governo contro i membri del consiglio di guerra che avevano impedito l'armistizio. Abbiamo già veduto con quali aspirazioni il Montanelli corresse da Massa a Milano; il prete Francesco Dall'Ongaro, pratico di Venezia, fu quivi spedito dal governo provisorio principalmente per aiutare l'inviato "a entrare in rapporto colle persone più influenti del governo veneto". Alle armi straniere si aggiungevano contro Venezia le domestiche insidie.
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