Eppure il mondo interno dell'opinione, anche dopo essersi dissociato dall'ordine [805] esterno delle ricchezze, si conservò inconcusso su le antiche fondamenta; tanta è la forza delle tradizioni.
Su la fine del secolo XIV irruppero di nuovo, sotto il nome di Mogoli, i pastori dell'Asia interna, guidati dal feroce Timur o Tamerlano (1397), che, poste a fil di spada intere città, trucidati un giorno centomila prigionieri, onusto di preda e di maledizioni, tornò al di là dei monti a compiere la furibonda sua missione di rapina e di sangue su tutto quell'immenso spazio che giace tra la muraglia della China e i nostri mari. Egli diceva: "In cielo un Dio solo; e un sol padrone in terra". Se il panteismo braminico annullava l'individuo, l'eguaglianza militare di Maometto annullava in faccia a un individuo tutto il genere umano. Timur lasciò il terribil nome dei Mogoli a un imperio che tornò tosto a smembrarsi fra le tribù afgane; ma la sua stirpe ricomparve con migliori auspicii in India nel secolo XVI. Il suo pronipote Baber (1525), espulso dalle squallide lande del Turchestan, discese su l'Indo con diecimila veterani, superstiti da vent'anni di guerre intestine; e con sì poca gente osò affrontare tutta la potenza afgana. Egli medesimo lasciò scritto nelle sue memorie: "Li Afgani potevano condurre sul campo cinquecentomila combattenti. Il dì della battaglia di Paniput l'esercito di Ibrahim Lodi non contava meno di centomila uomini e mille elefanti. Nulladimeno, e quantunque i nemici Usbechi mi minacciassero a tergo, osai combattere con un tanto nemico.
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