Ma se questo nuovo principio entrava negli animi e se ne impadroniva, pur troppo a dargli pronto effetto non vi era più l'esercito italiano.
Prima cura degli Austriaci nel 1814 era stata quella d'isolare e disarmare la nostra milizia, già oppressa dalla sventura di Napoleone, dal tradimento di Murat, dalla debolezza di Beauharnais. L'esercito del regno d'Italia erasi fatto compagno di gloria dell'esercito francese; ma l'assidua asprezza delle guerre vi aveva reso ben rari i veterani; trentamila valorosi erano caduti in Catalogna e Valenza; trentamila in Russia; trentamila in Sassonia. E tuttavia le sue reliquie, raccolte in Mantova nel 1814, nulla avevano dimesso dell'usato valore. Ad onta dei segreti accordi colla fazione retrograda, l'esercito degli alleati non potè entrare in Milano se non quattro settimane dopo la presa di Parigi. Il che torna a somma lode della milizia italiana, immolata pur sempre agli avvolgimenti della politica. Se non che, quei soldati vennero tratti poco stante in una falsa congiura, nella quale si era fatta loro sperare la cooperazione dei Borboni, come bramosi di ristaurare la fortuna francese in Italia. Quantunque il congresso di Vienna sedesse ancora, e le sorti nostre non fossero ancora stabilite, epperò i nostri soldati non avessero giuramento alcuno o dovere verso alcun principe, furono sottoposti a giudicio e a condanna di ribelli. L'esercito fu disciolto; le sue reliquie disperse nei presidii d'oltralpe; gli officiali per la maggior parte mandati in congedo; anzi molti, per non prestare un giuramento a cui l'animo loro italiano ripugnava, prefersero di rimanersi privi del grado e della pensione.
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