Il ritorno degli esuli aveva tolto ogni intrinsichezza che rimaneva fra i patrizii e gli officiali austriaci. V'erano tuttavìa molte famiglie antiquate, che imaginando ancora di vivere ai tempi del Sacro Romano Imperio, non si riputavano disonorate dalla presenza dei soldati stranieri. Ma i reduci, valendosi dell'autorità d'eleganti dettatori che dava loro la lunga dimora fatta in Londra e in Parigi, ammaestrarono quella stolta gente a serbare al cospetto delli stranieri i doveri della nazionale dignità. Non vi furono più danze di frivole spose con ussari damerini, nè cicalecci di nonne insensate con decrepiti marescialli. Il governo parlamentare, propagatosi in molte regioni d'Europa, riverberava d'ogni parte la sua luce sull'Italia, condannata da uno strano e iniquo privilegio alle tenebre e al silenzio; anche in seno alla fazione retrograda l'avanzamento delli intelletti era grande. Ma l'opera non era compiuta; perocchè al principio dell'indipendenza nazionale mancava tuttavia la sanzione religiosa.
Dopo la loro ristaurazione, i pontefici si erano dati con tutto l'animo a rendere odiose ai popoli le idee di nazionalità e di libertà, come quelle che mettessero in forse il loro governo temporale, improvido e perverso com'era divenuto. Epperò, non paghi di mandare al patibolo i forti cittadini, insultavano con vili calunnie ai loro sepolcri. Pio IX ruppe le catene ai prigionieri; riaperse la patria alli esiliati; pose mano per un momento all'opera santa della nazionalità. Il catolicismo parve far divorzio dal gesuitismo; riabbracciarsi per sempre la religione e la libertà. Abbandoni ora, s'ei vuole, Pio IX la causa dell'Italia.
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