Da tutta la rimanente Germania, la fazione retrograda spronava contro di noi i comandanti austriaci; sopratutto l'Allgemeine Zeitung abusava malignamente del costume ch'era in Italia d'appellare tuttavia gli Austriaci col nome generale di Tedeschi; e li sollecitava a insultare all'Italia per la gloria teutonica, tramutando quasi in campioni del prisco Arminio i caporali che a bastonate menavano attorno quel bastardo esercito di dieci favelle.
Mentre così da un lato si fomentava nelli Austriaci l'odio contro di noi a nome della Germania, li scrittori del Piemonte, i Balbo, i Durando, i Gioberti, infiammavano a nome dell'Italia la nostra gioventù a surgere in armi. Avrebbero essi avuto ben materia di scrivere a casa loro, vendicando al loro popolo le troppe tardate riforme, il rinovamento, la costituzione. Ogni passo fatto in Piemonte avrebbe costretto l'Austria a fare un passo avanti con noi, a slegarci ognora più la bocca e le mani. Era questo il consiglio che apertamente dava loro nella Revue des Deux-Mondes e nella Revue Indépendante Giuseppe Ferrari(1); ma essi lo accoglievano col dispetto di chi ad altro mira. Essi non vedevano cosa da farsi in Italia se non la conquista della Lombardia; ma nella angustia dei loro propositi non abbracciavano la più sicura via di compiere l'ambita impresa. Tacevano essi che l'Austria potè aver pacifico dominio delle terre d'Italia, solo perchè li altri governi erano quivi tutti peggiori del suo. Tacevano che l'Italia non era serva dell'Austria, non era serva di quelle fragili armi straniere, ma delle storte idee de' suoi reggitori.
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