Involti ancora in vecchie brighe coi gesuiti, e curvi sempre al cospetto della corte romana, non si avvedevano costoro d'esser rimasi al dissotto dell'ignoranza austriaca. Il barbaro si poteva cacciare solo in nome della libertà; ed essi avevano più paura della libertà che del barbaro. Non avevano dunque i Piemontesi sofferto nel 1821 la costui presenza piuttosto che subire una costituzione? Balbo, uomo dell'altro secolo, andava in collera quando si diceva che il popolo avesse a metter mano nelle cose dello Stato; non piacevagli la publicità del sistema rappresentativo; non amava veder calare il governo in piazza. Codesti servitori di corte non intendevano ad altro che a movere una guerra per dare una provincia di più al loro padrone. Unum porro est necessarium, dicevano essi, parlando dell'indipendenza italiana; ma ciò ch'era veramente necessario nelle menti loro era che il Piemonte si avesse la Lombardia. Vociferavano, fuori i barbari; e pensavano solo a prendere in Italia il posto dei barbari. Nella medaglia che la mano medesima di Carlo Alberto regalava di soppiatto a' suoi fidi, l'aquila birostre non figuravasi conculcata dall'Italia, ma spennacchiata dal lione di Savoia. La costituzione di cui Carlo Alberto non graziò finalmente i suoi popoli, se non dopo che il trionfo di Palermo ebbe fatta concedere la costituzione anche a Napoli, fu solo una necessità; o al più un manifesto di guerra, per cacciare sotto i primi colpi delli Austriaci la nostra gioventù.
A Milano, dopo la morte dell'arcivescovo Gaisruck, l'Austria trovossi costretta a dare quella grassa prebenda a un Italiano; e il popolo volle onorarlo come un vessillo della nazione.
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