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      Intorno alla milizia, io proposi che il collegio dei sessanta nobili, ististuito poco dianzi in Vienna, e che ci costava quanto ambo le università di Padova e Pavia, fosse restituito in paese, e trasformato in numerosa scuola politecnica militare e civile; proposi inoltre che, essendo il nostro regno quello che pagava di più, i nostri soldati fossero anco ammaestrati a quei generi di milizia ch'erano i più costosi, come la cavalleria e l'artiglieria. Ma non mi si sarebbe nemmen lasciato il tempo di compromettermi; poichè nello stesso dì che la polizia mi seppe relatore in quell'argomento aveva dimandato licenza a Vienna di deportarmi, in uno con Rosales, Soncino e Battaglia. Ebbi poi un dispaccio, trovato presso la polizia, nel quale il vicerè Raineri, approvando la deportazione per li altri, dichiarava per me non ancora (noch nicht) venuto il tempo. Del che fui debitore al mio spettabile amico Enrico Mylius, il quale, trapelata la cosa, ne aveva gettato un motto di lagnanza a un consigliere del vicerè. In tal modo punivasi in noi il compimento d'un dovere; poiché l'istituto era, per regolamento imperiale, l'organo del governo in quelli argomenti.
     
      Ma poco parendo omai le deportazioni, la polizia impetrò il giudizio statario, cioè l'autorità di processare e impiccare entro due ore. L'infame legge doveva prender vigore al martedì grasso, quando appunto cominciava, giusta il rito ambrosiano, quel prolungamento di carnevale ch'è festevole convegno in Milano a migliaia di famiglie delle vicine città. Il popolo interdetto dalli usati solazzi, e dai guadagni, mirava taciturno quel delirio de' suoi governanti; egli si sentiva nell'animo l'ora del conflitto.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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