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      Frattanto li astanti si raccoglievano in crocchi, caldamente disputando intorno all'armistizio. Ciò vedendo Casati, richiese il maggiore che volesse ritrarsi nella sala vicina, affinchè i cittadini potessero deliberare fra loro della risposta.
      Il maggiore, sedendo nella sala del Consiglio di Guerra, mirava attonito quella gioventù che in folla entrava e usciva, e che al vederlo colà, e all'udire la cagione della sua venuta, prorompeva unanumie nel più sdegnoso biasimo d'ogni tregua.
      Dopo un quarto d'ora, Casati fece rientrare il parlamentario, e gli disse: "Signore, non abbiamo potuto metterci d'accordo. Vogliate dunque rappresentare a Sua Eccellenza, da una parte, i sentimenti della municipalità, e dall'altra, quelli dei combattenti, affinchè possa prendere in conseguenza le sue risoluzioni". - Fu ben dolorosa la meraviglia che a tutti i presenti cagionò quella dichiarazione, in cui la municipalità pareva separare la sua causa dalla nostra.
      Il maggiore prese allora congedo. Sceso sotto il portico, sostò ad aspettare che gli si bendassero li occhi. Ma non fu fatto; non parve esservi cosa in città che fosse prezzo dell'opera celargli. Commosso visibilmente da quanto aveva veduto, strinse la mano ad uno dei cittadini che lo avevano accompagnato, dicendogli col suo straniero accento: addio, brava e valorosa gente. - Da un'intera generazione, era quella forse la prima volta, che uno straniero diceva al nostro popolo una parola di giustizia!
      Si publicò tosto il rifiuto della sospensione d'armi; ma senza accennare il tristo dissenso ch'era stato fra noi.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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