Avrei dunque anteposto di far impeto verso Porta Ticinese, quantunque doppiamente lontana. Chiamata non a torto cittadella, ha quasi un popolo suo proprio; e protende anche fuori le mura due sobborghi, tra mezzodì e ponente, in riva ai due navigli; sicchè avrebbe intercetto a molto maggior distanza le comunicazioni del nemico, e preclusagli una via di ritirata. Mi volsi per tanto a quella parte; ove per giungere si varcava la Fossa interna della città, sovra una barca attraversata, presso al ponte dei Fabri. Al di là l'aspetto dei quartieri dominati dal nemico faceva strano senso. L'occhio attonito vi cercava indarno le vie frementi di baldanzoso popolo come nell'interna città; li spazii erano affatto deserti; le porte e le finestre gelosamente serrate; il rintuono di due batterie vicine e il grandinare dei fucili si udivano soli in quella morta solitudine; un denso fumo velava ogni cosa; era presso il meriggio, e pareva sera. Le case communicavano fra loro secretamente per aperture praticate nelle camere, nelle cantine, nelli orti; e nel percorrerle si smarriva ogni riconoscimento dei luoghi. Ad un tratto, si rinvenivano congregate in certi loro ricoveri molte donne con infiniti fanciulli, a farsi animo tra loro e aiutarsi. Le più povere, non essendo state in tempo a ricevere al sabbato i pochi denari della settimana, non sapevano più come fare; poichè era già il mercoledì. I nemici in quel vicinato avevano arso donne e infanti; e per fare spavento e strazio, bersagliavano dal bastione le case; quelle genti parlavano di loro come d'indemoniati.
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Porta Ticinese Fossa Fabri
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