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      Non perciò fidavamo solo in quell'impeto dei popoli e nella instabile volontà d'un principe. Il Comitato nostro doveva essere il trapasso a un ministerio di guerra, che ordinasse un esercito regolare. Certo era ad aspettatrsi che i ministri e generali del re alleato mostrassero tutta la proverbiale loro alterigia a chi non avesse fatto altra milizia che quella delle barricate. Chiamammo dunque presso al Comitato i veterani dell'esercito italico; molti de' quali erano già colonnelli e generali sul campo di battaglia prima del 1814, e quando i generali presenti di Carlo Alberto erano ancora tenenti o guardie d'onore. Il rispetto militare che al loro grado e all'esperienza si doveva, sarebbe stato un riparo anche alli altri cittadini.
      Ma con ciò mettevansi a capi della libertà armata uomini avvezzi dalla gioventù alla riverenza del comando assoluto, e irrugginiti inoltre da trent'anni d'ozio. Pensavamo ovviare, ponendo loro a lato giovani solerti, che in breve si appropriassero il frutto di quella perizia antica. Ma la calda gioventù non amava rinunciare alle lusinghe della bella guerra, per incarcerarsi nelle stanze d'un ministerio; e i veterani poi non volevano intendere qual parte d'opera la patria da loro si aspettasse. Volevano imporre al moto spontaneo d'un popolo le consuetudini d'un tempo d'obedienza, e le forme solenni d'un ordine stabilito. Volevano, a cagion d'esempio, costituire subitamente un ministerio completo in tutte le sue sezioni; al qual modo avremmo avuto in quei primi giorni più gente nel ministerio che non nell'esercito; poichè si stava ancora per fare il primo reggimento.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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