D'allora in poi dipendeva da Carlo Alberto, e dalli ambigui suoi interessi di principe, l'aver noi un esercito, o non averlo.
Il governo provisorio, impaziente di por fine a quelle cose di popolo, e di rimettere ogni cosa nella rotaia dell'obbedienza, ci aveva già due volte invitati a sottoporre alla sua firma ogni scritto che il Comitato di Guerra publicasse, e perfino le notizie che solevamo dare della guerra. Voleva bendare li occhi al popolo; e lo fece; e lo trasse seco al precipizio. Chi da quel giorno in poi disse una parola di vero, fu additato spia dell'Austria; la verità, era oro austriaco. Il governo che si spacciava eletto dal popolo fra le barricate, ripudiò, al terzo dì della sua vita, il sacro principio della publicità. Ed era, perchè in quell'istante medesimo gli giungeva avviso che Carlo Alberto nella sera precedente aveva deliberato passare il Ticino. Speravano li ingrati non aver più bisogno del popolo.
L'ultimo di marzo, io e li altri tre membri del primitivo Consiglio di guerra dichiarammo con un manifesto al popolo d'aver compiuto quanto ci spettava. Avendo fin dal primo giorno invocato l'Italia e la Libertà, compiemmo invocando l'Unità d'Italia: - "Potesse Pio IX presiedere fra pochi giorni in ROMA, il CONGRESSO di tutti i popoli italiani!"
Nel dì seguente, il governo provisorio, dichiarandoci benemeriti della patria, intraprese tosto a disfare ogni nostro avvisamento; decretò doversi ricomporre il Comitato di Guerra in regolare ministerio, riordinarsi tutti li officii, riservarsi a lui la scelta dei funzionarii.
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