Profittò d'una malattia di Litta, per mettere ogni cosa in mano al Colegno, e poscia al Sobrero; ambedue piemontesi e fatti generali dal re. Fin d'allora l'esercito e il paese non furono più nostri; le sostanze nostre, la vita e l'onore furono in arbitrio altrui.
Ritornando dopo quei dodici giorni di vita publica al consueto mio ritiro, non volli però lasciare interrotta una cosa ch'io mi era posto in mente per relazioni che aveva con alcuni studiosi Ungari. M'era persuaso che quella gente potesse cattivarsi con qualche effetto alla nostra causa; poichè Austriaci e Croati erano tanto i nemici suoi quanto i nostri. E siccome alcuni tra i prigionieri e i feriti erano di lingua magiarica, proposi a Litta di restituirli alla patria loro. Visitati a tal uopo secolui li ospitali, scrissi tosto un indirizzo a quella nazione. -
5 aprile 1848.
Prodi Ungari!
Fra i molti prigioni e feriti che un'assidua pugna di cinque giorni pose nelle nostre mani, sono alcuni nativi del nobile vostro regno. Noi vi rimandiamo quelli tra loro che appartengono all'ordine ecclesiastico, e perchè le sacre loro persone non devono soggiacere alle leggi della guerra, e perchè vi annuncino la mente nostra di rendere liberi a voi, senza riscatto e senza cambio, anche li altri vostri prigioni e feriti. A tale uopo abbiamo visitato questi ospitali; e facciamo indagare nel deposito dei captivi anco delle vicine città; e adunatili tutti in Pavia e Cremona, attenderemo che mandiate vostri opportuni commissarii per condurli con buon ordine e colle cure che il loro stato richiede, su le vaporiere del Po e dell'Adriatico, sino al porto di Fiume.
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