Al ritorno del dominio austriaco, Milano rimase seggio delle nuove lettere e del pensiero nazionale. Alla sua ribellione, si levò in armi tutta l'Italia.
L'interesse che ha qualunque città di non divenire provincia, le consuetudini d'indipendenza che le stesse famiglie cortigianesche contraggono dal viver lontano dalla corte, lo spirito democratico del secolo, l'aria di libertà che vien tratto tratto di Francia, ogni cosa insomma, avrebbe contribuito a far di Milano, subordinata dai brigatori a Torino, la indomita città dell'opposizione.
Quanto più il regno fortissimo si sarebbe dilatato in Italia, tanto più centrale si faceva la posizione di Milano, tanto più strana quella di Torino. E' in Milano che le grandi vie mercantili s'incrociano, per una configurazione di terreno che la politica non può mutare; quivi la navigazione dell'Adriatico e del Po si collega a quella dei grandi laghi; quivi le locomotive possono indirizzarsi da un lato all'Adriatico, dalli altri verso il Mediterraneo e il Reno, i passi dell'Alpi e dell'Apennino; quivi la congerie delli interessi commerciali si sarebbe venuta accumulando intorno al centro dell'opposizione. No, era troppo forte impresa per Carlo Alberto ridurre Milano alla umile condizione di Genova. Nè li occhi della polizia, nè le mani dei soldati, potevano farlo in siffatte condizioni sicuro del suo proposito, se non giungeva a intercettare a Milano le spontanee fonti della sua potenza. Sarebbe stato mestieri sottoporla a meditata e inesorabile oppressione, compiendo quel decreto d'artificiale decadimento a cui, per farla docile a Vienna, l'aveva indarno condannata l'imperatore Francesco: Milano deve decadere.
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