Ora, il tenerci privi d'esercito era il punto al quale tendeva in quel tempo la politica insulsamente scaltra del re. Il quale mirava sempre fisso alla servitù della Lombardia; non alla libertà dell'Italia.
Ma ben più strano era che il governo provisorio, assediato da ogni maniera di bisogni, con una lega di principi resa vana dall'ambizione del re, col regno per metà occupato dal nemico, colla guerra lasciata crescere ogni giorno, senza soldati proprii, senz'armi, senza finanze, senza credito, si studiasse d'aggravare ancora più le pubbliche difficoltà, coll'abolire il testatico, il lotto, il dazio della catena, il dazio di transito, l'esazione delle tasse arretrate, il bollo delli avvisi, e in gran parte il dazio del sale e del zucchero, il porto delle lettere, la tassa della caccia, il dazio di magazzino, il bollo della carta, e il dazio dei vini piemontesi, delle lane e di molte altre derrate. Sarebbe bastato il decretare tutti codesti alleviamenti per il primo dì dopo la guerra vinta; e tener sempre l'animo del popolo confitto in questa meta suprema.
Qual era in ciò la mente dei membri del governo?
Avevano essi dichiarato il 29 marzo di voler "alleggerire il peso delle publiche imposte a favore delle classi men doviziose". Pareva a tutta prima che volessero solamente accettar l'aura popolare, allettare a sè con quei vani ristori la moltitudine credula, sicchè non avesse a prestar orecchio alli amici della libertà. Pareva a tutta prima che volessero solamente attaccar l'aura popolare, allettare a sè con quei vani ristori la moltitudine credula, sicchè non avesse a prestar orecchio alli amici della libertà. Ma venne poi chiaro che volevano proprio avviluppare i cittadini in una rete d'inestricabili angustie, per costringerli assolutamente a darsi subito al re.
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