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      E infatti, nel preambolo al decreto del 12 maggio, nel quale comandavano al popolo, contro la data fede, di votare intorno all'immediata sommissione a Carlo Alberto, gli provavano la necessità di quel duro e vile sacrificio, citando appunto la guerra grossa, le sussistenze dovute alli alleati, le finanze bisognevoli di rimedio pronto ed efficace, le influenze ostili della diplomazìa, le provincie venete in gran parte già rioccupate dai barbari. - Le quali cose tutte provenivano dalla convenzione del 26 marzo, dalla maliziosa dissipazione delle finanze e del credito, dall'usurpazione di Piacenza, dall'abbandono del Tirolo e del Friuli, e dalla sciagurata subordinazione della guerra del popolo alla politica del re.
      Dopo avere colla succitata convenzione svuotato il tesoro e spolpati i communi, il governo, nel dì seguente, 27 marzo, aveva proveduto a rendere impossibile ogni considerevol prestito, dimandandone bensì uno di 24 millioni, ma soggiungendo che non intendeva pagare interessi. Allontanò così tutte le serie ed efficaci esibizioni sì dei cittadini che dei forestieri; e mutò il prestito in un'elemosina alla patria.
      Gli dava poi la forma più infesta all'opinione del paese, cioè quella d'una carta moneta. La suddivideva in minutissimi viglietti da venticnque lire; i quali furono sempre considerati di pericolosa circolazione, anche nei paesi accostumati a siffatti valori. Offriva d'accettarli come denaro sonante, in conto delle imposte. E non pensava, che, rientrati una volta nelle publiche casse, difficilmente troverebbero la via d'uscirne ancora; dimodochè il faticoso prestito si riduceva in fine a una mera anticipazione d'imposte.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





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