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      Il credito era spento.
     
      In procinto di far votare l'unione col Piemonte, il governo volle far sentire ai cittadini tutto il peso delle circostanze con un cumulo d'insolite gravezze. Il decreto del 13 maggio impose d'un solo fiato un'anticipazione sul censo, una sovrimposta pure sul censo, una sulle arti e il commercio, una tassa sulle arti liberali, e una sui crediti ipotecarii. Si aggiunse poco dipoi una diminuzione alli stipendii delli impiegati e alle pensioni; se ne mutilò in certi casi perfino la metà. L'imposta sulle ipoteche, oltre al rompere la fede dei contratti, e preparare una generale alterazione nella misura delli interessi, scompigliava il credito privato, propalando le secrete afflizioni delle famiglie; e destava una selva inestricabile di dubii e di liti, per ragioni evidentissime ch'è lungo riandare.
      L'aggravio sul censo non raggiungeva nemanco un'ottava parte del solito tributo annuale; dimodochè le borse delli ottimati non venivano tampoco a conferirvi un mezzo millione. Per pudore, venne poco di poi cresciuto; e allora pesava troppo sui possidenti poveri. Un'indulgenza ancora maggiore per sè medesimi avevano avuto quei signori, eziandío nel riformare la legge sulla carta bollata; poichè, a cagion d'esempio, un'eredità di ventimila lire era tassata nell'uno per mille; e un patrimonio di seicentomila lire, solamente nell'uno per diecimila!
      Col suddescritto ripiego delle offerte volontarie li ottimati scampavano dal flagello delle tasse proporzionali. Famiglie da trecentomila lire d'entrata, che si sarebbero potute tassare di centomila lire, senza scemar loro alcuna morbidezza del vivere, si traevano d'impaccio col dono d'un paio di cavalli o di un cannone.


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Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra
di Carlo Cattaneo
1849 pagine 315

   





Piemonte